cinque ragazzi. cinque ragazzi per cinque argomenti: letteratura, arte, musica, cultura e non solo... cinque argomenti in "cinque righe": il pentagramma, un progetto che si propone di accendere la curiosità del suo lettore suggerendo semplici spunti di interesse generale. Discorsi intrecciati l'un l'altro come note musicali che cercano l'armonia uniti dalla stessa "chiave".

martedì 26 marzo 2013

Les marchés aux puces


Sono passati più di due mesi dal mio arrivo nella "Ville Lumière", ma nonostante i miei instancabili tour domenicali ho ancora una pulce nell'orecchio, anzi più pulci: quelle del mercato di Saint-Ouen. 
Perché se arrivate a Parigi, che voi siate dei pseudo-hypsters appassionati del vintage o nerd collezionisti, "Brocantes" et "vide-greniers" sono due parole che dovreste subito imparare. Ogni settimana diversi "marchés aux puces" sono sparsi nei quartieri di Parigi, ma fondamentale è il pellegrinaggio a Saint-Ouen. Per i Parigini Les puces non hanno bisogno di presentazioni perché ogni weekend si riuniscono per formare il mercato più grande del mondo, che a quanto pare sembra attirare 150000 ad ogni apertura. Tra questi anche Woody Allen, giunto fin qui per girare alcune scene del suo “Midnight in Paris”.

Desideroso di vedere uno spaccato alternativo della vie parisienne mi faccio coraggio e da Champs-Elysées-Clemenceau salgo sulla linea 13 della métro verso Nord. Molti di solito consigliano di scendere con la linea 4 a Porte de Clignancourt, ma personalmente non sono d'accordo in quanto, oltre ad essere un capolinea molto incasinato, sembra di arrivare in una favela sudamericana, con beurs che organizzano bische sui marciapiedi. Del resto, a parte Montmartre, tutta la zona Nord di Parigi non è esattamente il luogo dove portare la fidanzata per una romantica passeggiata serale.  

Me la prendo più larga e smonto a Garibaldi, per poi farmi due passi in rue des Rosiers e finalmente arrivare al famoso mercato. Un infopoint dall'aspetto moderno e la presenza di qualche americano puzzano un pò da tourist trap, ma, appena entrato, i miei sospetti svaniscono.

Sembra di entrare in un altro mondo: le casette fatiscenti si trasformano in piccole botteghe dove i rispettivi proprietari si appisolano su vecchie poltrone in attesa di acquirenti, il tutto distribuito in viuzze strette e trafficate: Tenere mille occhi aperti è fondamentale. Una forte sensazione di degrado e precarietà si mischia alla vitalità di un posto che non sembra essere mutato dal 1870, quando i robivecchie furono allontanati dal centro città per motivi igienici e s’installarono tra le mura e le prime case del villaggio di Saint-Ouen. Nel 1908 arrivò anche la Métro e la folla cominciò ad esserne attratta. A partire dagli anni Venti del secolo scorso le “pulci” si stabilizzarono definitivamente in questa zona periferica. 
Attualmente sono sedici i mercati che si snodano tra i passaggi trafficati , mescolati con molti stand temporanei, non registrati, che offrono di tutto, da utensili da cucina obsoleti a vecchi jukebox e cianfrusaglie di ogni tipo.


Il primo mercato che si incontra è Le Plateau, più raffinato e dedicato ai mobili d'antiquariato, seguito, a seconda della direzione che si sceglie di prendere, dal marché Michelet e dal mercato della rue Jean Henri Fabre. Le botteghe ospitano testimonianze dell’arte e della vita quotidiana praticamente di ogni tempo: si va dal bugigattolo con riproduzioni anatomiche dell’Ottocento a quello che espone mobili dalle tinte forti degli anni Settanta. E' un atmosfera labirintica e dare un'occhiata a tutto è impossibile. 


Spesso spesso i proprietari sono francesi particolarmente desiderosi di condividere la storia degli oggetti accumulati, o almeno quanto sono riusciti a ricostruire, quale presupposto di una sottile negoziazione. Passano il pomeriggio su piccoli tavoli a mangiare formaggio con del vino in attesa di clienti. 

Alcune opere in vendita fanno di Saint-Ouen un museo a cielo aperto: tra sculture di leoni in marmo bianco e busti di Napoleone III si ammassano alla rinfusa manichini vintage con quadri naif di Capri e del Vesuvio in eruzione di notte.
E se i soldi mancano, si possono sempre acquistare alcune cartoline usate, che ancora contengono l'odore e la storia di chi le ha scritte: fotografie di altri tempi, cariche di storie personali. 
Procedendo verso le vie vicine alla Peripherique, il mercato perde in parte il suo fascino per lasciare posto a bancarelle più temporanee con vestiti e scarpe, uguali in tutto e per tutto ai mercati rionali italiani, mischiati a creperies ambulanti e miserabili rigattieri improvvisati, che han cercato nella notte qualche cosa da rivendere. Nonostante questo, rimedio per una decina di Euro due vinili in una bancarella gestita da due Rasta che sembrano aver sbagliato Camden Town di qualche chilometro. 

Impossibile non tirare fuori la fotocamera, ma devo fare molta attenzione, perché a quanto pare i negozianti non sembrano provare molto piacere nell'essere fotografati, e appena gli dedichi un minimo di attenzione, ti si attaccano come zecche. 
E poi una regola fondamentale: mai (e ripeto MAI) accettare la prima offerta se si vuole acquistare qualcosa, perché oltre ad essere preso per un idiota, per les puces è un segno di maleducazione. Il divertimento risiede soprattutto nelle trattative, gestite nello stile scherzoso ed irruento dei faubourg.


Mi chiedo alla fine di tutto ciò chi possa essere interessato a questa merce esposta su strada: vecchie pentole rigate, ferri da stiro che se funzionano è un vero miracolo, libri vecchi senza copertina e vecchie scatole di fiammiferi.
Credo ci sia qualcosa di profondamente vitale nell’osservare gli oggetti appartenuti ad altri e magari ora orfani, liberi di continuare la loro esistenza nelle mani di altri. Le esposizioni dei vari bugigattoli offrono l’opportunità la ricerca per le belle cose. La curiosità, il dialogo con il commerciante, la soddisfazione dell’acquisto rendono la visita al mercato delle pulci un’esperienza da voler ripetere. 


Tra chi raccoglie gli oggetti e chi li compra si crea un legame che non avviene certamente in un negozio qualsiasi, dove ogni cosa è nuova e senza storia. Lascio Saint-Ouen con la consapevolezza che forse ogni oggetto ritornerà prima o poi nel ciclo vitale di un altro mercato altrove. 

M.B.


martedì 12 marzo 2013

Marjane Satrapi - Peintures


In un sabato pomeriggio troppo caldo per il marzo Parigino, mi dirigo verso Miromesnil, nell'ottavo arrondissement, a due passi dagli Champs-Elysées. 
Uscendo dall'omonima fermata lungo la linea 9 della Métro mi ritrovo subito davanti alla galleria "Jérôme de Noirmont", circondata da tante altre esposizioni d'arte private, sparse come il prezzemolo fino a Marais.


La De Noirmont in questi giorni ha l'onore di ospitare la prima personale di un'artista unica nel suo genere come Marjane Satrapi, e la curiosità è troppo forte per poter perdere una simile occasione. 

Probabilmente, citando il film d'animazione "Persepolis", il nome di Marjane Satrapi potrebbe dirvi qualcosa di più. Non senza vergogna, ammetto che la mia conoscenza di tale disegnatrice (o pittrice?) è limitata a questo lungometraggio: un piccolo capolavoro, che con la delicatezza del cartone animato ha avvicinato il mondo europeo all'enorme questione della vita femminile nei paesi arabi. 

Nata a Teheran nel 1969, la Satrapi ha vissuto gli anni della rivoluzione islamica e della guerra all'Iraq, prima di abbandonare il paese a soli quattordici anni senza famiglia, soggiornando Vienna, poi Strasburgo e stabilendosi poi a Parigi. 
La pittrice deve molto della sua formazione artistica ad una lontana zia, che fuggendo da un matrimonio combinato, andò ad abitare in Svizzera per studiare pittura. L'allora giovane Marjane passò buona parte della sua infanzia con l'"Ammeh Suisse", disegnando su ogni supporto possibile e sulle mura della sua casa, fino a quando un cancro non decise di portarsi via l'amata zia. 

Satrapi la ricorda così in un'intervista:

"...poco prima di morire mi domandò di vedermi, avevo solo sei anni e la incontrai nella sua camera d'ospedale(...). Ero spaventata dal suo aspetto pallido e malato, ma mi feci coraggio. Al suo fianco aveva un piatto di pollo e carote al vapore, ne aveva mangiato la metà, mi ordinò di mangiarne il resto, non potevo rifiutare(...). Poi mi guardò e disse: "Tra poco morirò e il mio spirito entrerà nel tuo corpo". Attese qualche secondo per poi confessarmi: "Vista la forma della tua fronte, forse sarai una pittrice, forse una scrittrice, forse tutte e due."
Avevamo la fronte uguale e qualche giorno più tardi morì.
Da allora ho vissuto con il suo spirito in me e come una tragedia greca ho avuto il destino segnato: ero condannata a fare la scrittrice o la pittrice, ed è quello che ho fatto per il resto della mia vita." 

In effetti Marjane Satrapi nella sua vita ha scritto molto, se pensiamo che anche il fumetto è in sé una scrittura: il disegno del fumetto non descrive il proposito ma ne è complementare. Con questo linguaggio è arrivato poi il già citato "Persepolis", che da semplice vignetta è diventato pellicola, raccontando storie oltre gli immaginari attori.


Pochi(me compreso) lo sanno, ma l'artista iraniana ha anche dipinto, e non poco. Quella di Parigi è la prima mostra in assoluto dedicata ai suoi quadri: prima di essa, la Satrapi non si è mai sentita abbastanza pronta per esporli ed il contatto con la De Noirmont è arrivato grazie all’amica video-artista Shirin Neshat.

"Ero nata in un periodo che la pittura era già defunta, non volevo fare dell'arte morta! E poi ho scoperto che tutte le forme d'espressione artistica, dalla scultura alla musica, erano già morte, persino il cinema. Si può per esempio, tentare di fare del cinema, dopo Orson Welles?"



La galleria ospita 21 tele inedite, realizzate tra il 2009 e il 2012, divise in dodici ritratti, sei in coppia e tre ritratti di famiglia: tutti volti di donne nei quali ritroviamo i “profili autobiografici” delle strisce di Persepolis.
Una pittura minimale, basata su una tavolozza di colori primari e forme talmente basilari da evocare Mondrian. Un mondo drammatico e fantasioso quello di Marjane Satrapi, dove però le sue donne ritrovano la femminilità perduta di una Teheran che non c'è più. Spesso sono i capelli neri o il colore dei vestiti a costruirne la figura, ornata di pochissimi dettagli: una tazza fumante, oppure una sigaretta con un libro. 


Un tempo silenzioso e sospeso avvolge queste donne, che ad eccezione dei ritratti di famiglia, mai guardano lo spettatore, ma i loro occhi vanno oltre: cosa mai staranno osservando?
Ma come disse Diderot: "Quando si scrive, serve scrivere tutto? E quando si dipinge serve dipingere tutto? Suvvia! Lasciate qualche cosa in sospeso per la mia immaginazione!"

Queste poche righe della Satrapi riassumono al meglio l'essenza delle sue opere: 

"Morta o viva, amo la pittura e provo sempre piacere nell'esplorarla. Si tenta spesso di spiegare che un poeta ha detto una tal cosa in mille parole, dimenticando forse che il poeta era semplicemente ubriaco. 
Le mie ragioni per dipingere sono le stesse del pittore ubriaco. 

Dipingo donne, ma non per una lotta femminista, non sia mai! 
Dipingo per gli stessi motivi di Modigliani o Gauguin.

Ho ritratto spesso mia madre, la mia zia, ed altre cugine delle quali non ho che vaghi ricordi. Quelli che mi hanno aiutato a crescere. E' la mia ricerca del tempo perduto."


Un breve ma intensissimo percorso artistico quello alla galleria "Jérôme de Noirmont", che da questa insolita Parigi mi ha permesso di vedere oltre il velo nero dell'Iran contemporaneo.


M.B.